Carmen Weiz

2.

Una serata con l’agente in formazione Rebekka Stahl

 Novità

Storia indipendente*

Cliffhanger

(*) Questo racconto dovrebbe entrare a far parte del secondo libro dell’agente speciale Rebekka Stahl.

“Secondo i dati della Missing Children ogni anno, in Europa, scompaiono in media circa duecentomila tra bambini e ragazzi.”

Prima di aprire la porta ed entrare in quella che sarebbe diventata la “mia stanza” per le prossime cinque ore, trassi un profondo respiro sperando che, in qualche modo, potesse calmarmi. Lo lasciai uscire lentamente, concentrando tutti i miei sensi sul filo d’aria che stava abbandonando i miei polmoni. Purtroppo non bastò a relegare in un angolino nascosto della mia percezione il leggero tremore alle gambe, i movimenti incerti, i palmi sudati. Non potevo permettermi di essere ansiosa; sarebbe stata di sicuro una distrazione che mi avrebbe condotto a commettere un errore, e per Dio, non avrei rovinato tutto.

«È solo una serata come tante altre, Rebekka» sussurrai, anche se ero da sola, aprendo le mani che si erano già strette a pugno.

Sì, ero ansiosa, dovevo ammetterlo, ma non spaventata. C’era una grande  differenza tra i due stati d’animo. Un predatore non conosceva la  paura, e lo stesso valeva per me.

I tecnici di audio e video che mi avrebbero seguito in quella missione non erano ancora arrivati; ero giunta appositamente in anticipo dopo l’ultimo briefing avuto con il collega responsabile del corso di sicurezza informatica. Nell’ultima ora, non aveva fatto altro che ribadire l’importanza di proteggere la mia identità durante le operazioni sotto copertura, soprattutto se, un giorno, avessi voluto unirmi alla task force comandata dal migliore agente speciale di tutta Europa: Sophie Nowack, conosciuta come “L’Asso”.

Per un breve momento la mia mente tornò al pomeriggio appena trascorso e mi ritrovai a fissare un paio di occhi che somigliavano a un lago ghiacciato, con lo stomaco chiuso in una morsa, mentre pensavo se il mio diretto superiore, l’agente Lehmann, avrebbe approvato o meno la mia richiesta. Ricordai il modo in cui mi aveva stretto la mano e guardato con una tale intensità che avevo avuto difficoltà a mantenere la mia solita compostezza. Il sorriso gli aveva danzato agli angoli della bocca, ma non era qualcosa di carismatico o affabile, era una sorta di divertimento perverso che mi sbirciava dalla profondità dei suoi occhi. Appena gli ultimi dettagli del suo viso cesellato apparvero davanti ai miei occhi, li allontanai con un gesto secco della mano. In quel momento non avevo tempo per le distrazioni, soprattutto di quel genere, tutt’altro che benvenute.

Concentrati sulla missione, ti stai giocando il tutto per tutto. C’è un maniaco là fuori che aspetta di essere catturato. Continua a mettere in pratica le abilità che hai appreso durante la formazione e vedrai che quel bastardo ti porterà da lei.

Senza indugiare oltre, abbassai la maniglia ed entrai nella stanza costringendo le gambe a compiere quei pochi passi necessari. Mi guardai attorno strofinando le braccia e provando a placare la pelle d’oca che si era formata dopo che un brivido mi scese serpeggiando lungo la schiena. Avrei voluto dare la colpa alla sottile maglietta di cotone, ai pantaloncini così corti che a malapena mi coprivano il sedere o ai piedi scalzi, ma sapevo che la colpa non era degli indumenti striminziti o del vecchio parquet del pavimento.

È una sera come un’altra, ficcati questo concetto in testa e vedrai che andrà tutto bene.

Mi ero ripetuta quella stessa frase nei più svariati modi nelle ore precedenti, da quando avevo ricevuto la notizia tanto attesa.

Era trascorso un lungo periodo da quando finimmo a indagare su quella feccia, raccogliendo informazioni che spesso sembravano frammenti di diversi puzzle. Un’ombra, simile a molte altre, che si muoveva silenziosa e impunita nella Darknet, commercializzando materiale pedo pornografico. Tutto era cambiato quando uno dei tecnici dell’Europol riuscì a intercettare la sua scia schifosa mentre stava vendendo un video che ritraeva Neele Vogler, una sedicenne scomparsa senza lasciare traccia da quasi due mesi, dopo la festa di compleanno di un’amica.

Settimane di intensa ricerca e di duro lavoro avevano svelato che Bang_6969, come si faceva chiamare nei bassifondi della rete, frequentava anche dei siti di intrattenimento per adulti in Europa. Fu in quell’occasione che venni contattata con il compito di adescarlo.

Il mio alias e quello di altre due agenti di circa vent’anni venne inserito in diverse piattaforme online. Dalle dieci di sera alle tre di notte lavoravo su un sito web chiamato Babes_show.com, che aveva una clientela composta per lo più da utenti tedeschi, svizzeri e austriaci. Le mie colleghe si erano divise il resto d’Europa; erano ragazze come me: brave a mentire, piene di energia e voglia di costruire una carriera come agenti infiltrati. E, soprattutto, con l’innata capacità di trasformarsi e assumere così altre personalità.

Durante il pomeriggio, invece, mi occupavo del mio addestramento come poliziotta per diventare un agente operativo del SIC – il Servizio di Informazione della Confederazione. Tra i due turni di lavoro mi allenavo e provavo a vivere la mia vita come una persona normale. O quasi. Per me era importante seguire un programma rigoroso, e le forze dell’ordine mi avevano sempre aiutato in quel frangente.

Io stessa avevo curato ogni dettaglio del mio personaggio, la studentessa di diciassette anni e della “sua stanza”, con un’attenzione a dir poco maniacale.

Aprii gli occhi e fissai il mio riflesso nello specchio posto accanto al letto, mentre mi aggiustavo alcune ciocche che erano scappate dalla coda alta. Occhi da cerbiatto castani che trasmettevano una dolcezza infinita mi restituirono lo sguardo. Per fortuna nessuno di quei video mi avrebbe ripresa da vicino, poiché le pupille, scure e acute, riflettevano un’arguzia che non corrispondeva all’apparente giovinezza del viso. L’espressione determinata che avevo in quel momento poteva cedere con facilità a quella docile, mentre le labbra piene coperte da un rossetto chiaro a lunga durata si accordavano perfettamente al personaggio che dovevo interpretare. Lo stesso valeva per lo smalto messo con cura su mani e piedi, così come i delicati orecchini, la catenina d’oro con la “M” che pendeva tra i seni e i vestiti che avevo indossato poco prima. Quella sera sarebbe comparso di nuovo, perciò tutto doveva essere perfetto. Il mio alias doveva essere abile nel catturare la sua attenzione e, al contempo, a sfuggire facilmente da qualsiasi sospetto, come un vero e proprio paesaggio mutevole, una tela emotiva dipinta con pennellate fluide e sfumature che si adattavano al contesto circostante.

Piegai la testa di lato e sorrisi nel modo in cui avevo studiato a lungo, pronta a fondermi con qualsiasi atmosfera, nascondendo il mio stato d’animo dietro una maschera di puro candore, sempre pronta a mutare. Mi morsi piano il labbro inferiore, prima di lenirlo con un colpetto della lingua.

Così… innocente, perfetta per lui.

Carmen Weiz

Melissa Pratt o Mel_P. Lui credeva di conoscermi, tutti i frequentatori del sito pensavano di sapere chi fossi. Dopotutto, il mio profilo veniva aggiornato quasi quotidianamente. Foto e video ritoccati che costruivano in modo minuzioso la mia finta quotidianità. Le persone credevano a ciò che vedevano, per il semplice fatto che volevano crederci con ogni fibra del loro essere.

Le mie labbra si stirarono in un vero e proprio sorriso. Il fremito che mi scosse non era più di ansia, bensì di trepidazione. Come quello che attraversava un cacciatore quando si lanciava all’inseguimento di una preda pericolosa. Sbattei le palpebre specchiandomi per l’ultima volta: da agnellino a lupo in un batter d’occhio.

Carmen Weiz

Mi spostai accarezzando la trapunta ancora stropicciata dalla sera precedente, la mente che vagava distratta.

Chissà se posso aggiungere al curriculum le mie ultime esperienze lavorative…

Carmen Weiz

“Per me era importante seguire un programma rigoroso, e le forze dell’ordine mi avevano sempre aiutato in quel frangente.”

Serenity Cox, vincitrice del Porn Hub Awards, Belle Delphine con i suoi account sui social media che fondeva erotici e cosplay e Kendra James, da cui la squadra aveva preso l’ispirazione dopo che un suo video, con una performance amatoriale girato nella biblioteca dell’Università di Varsavia, era diventato virale prima che Instagram bloccasse il suo profilo. Loro erano state le mie insegnanti. Per ben tre settimane avevo guardato sei ore di video al giorno, letto libri di seduzione e lasciato che le migliori spogliarelliste mi insegnassero l’arte del mestiere. Poiché ero una studentessa scrupolosa, dopo oltre cento ore di “apprendistato”, mi sentivo pronta ed ero sicura che sarei riuscita a convincere chiunque con il mio personaggio.

Mi fermai in fondo al letto, guardando orgogliosa il mio operato: un’intera missione in poco più di venti metri quadrati, tutto frutto del duro lavoro.

Chissà se l’agente Nowack vedrà ciò che ho creato? Se riuscirò ad acciuffarlo, di sicuro sì.

Mi ero data da fare con il budget della missione acquistando diversi articoli in tonalità di rosa e lilla, molto femminili, compresi due secchielli di vernice di un bianco pallido, quasi rosa, chiamato “Baby Cipria”, che vennero usati per dipingere le pareti. Un colore adatto alla stanza di quella che era stata una bambina, evocavano un sentore delicato e romantico, perfetto per adescare un bastardo come lui. Dopo che i mobili furono assemblati e le pareti dipinte, iniziai ad abbellirla: un calendario a muro ricoperto di note, cuori e scarabocchi vari, poster, foto incorniciate di una famiglia e di studentesse felici, dove la mia immagine venne aggiunta e ritoccata con Photoshop, erano state messe sul comodino accanto al letto, vicino a una lampada pink. Presi alcuni testi scolastici in un mercatino di seconda mano e ogni tanto li lasciavo buttati a caso, vicino all’orsacchiotto di peluche e ai tanti cuscini di diverse forme e dimensioni sparpagliati sul letto da mezza piazza. Il tocco finale venne dato dal morbido piumone lilla, lo stesso che stavo accarezzando in quel momento.

Non avrei mai potuto dimenticare la sensazione di euforia che avevo percepito quando avevo visto il risultato finale. Era come entrare in un’altra dimensione, una sorta di mondo di Barbie per giovani adulti. Le altre due agenti che avevano fatto un lavoro simile con le loro “stanze” erano davvero entusiaste e lo stesso si poteva dire della mia “comunità di followers” in Babes_show, composta da più utenti che impiegavano sempre meno tempo a cliccare sul pulsante “passa alla chat privata”.

Il funzionamento del sito era piuttosto semplice: una sorta di sala d’attesa virtuale con una chat aperta a tutti. Quando le ragazze erano online si collegavano a quella stanza. Era il luogo in cui le performer incontravano i membri della comunità e provavano a convincerli a entrare in una conversazione privata. La sala relax, come veniva chiamata, era gratuita e se una ragazza veniva richiesta più volte, si guadagnava una sala solo per lei dove avrebbe potuto chattare con più membri in contemporanea e senza concorrenza, finché uno di loro non avesse deciso di premere il pulsante “Portami in una chat privata”. A quel punto, tutti gli altri venivano esclusi e iniziava il vero spettacolo. Spesso, in quei casi, quando l’utente non era colui che stavamo cercando, dopo qualche secondo nella chat privata, la connessione veniva interrotta come se fosse sopraggiunto un normale bug e il computer dell’utente veniva indirizzato di nuovo alla sala relax.

Per fortuna ero affiancata da due vere esperte di video e audio per far in modo che le prime sessioni, dopo le prove, non si tramutassero in un disastro. Allo stesso tempo, non potevo certo dire che era una passeggiata, soprattutto quando si trattava di avere delle interazioni con i “clienti”. Per quanto avessi messo in pratica gli “studi”, all’inizio ero troppo nervosa, del tutto scoordinata davanti alla telecamera, inarcavo il corpo in angolazioni che sembravano stranissime con gli arti che si muovevano goffi, ma alla fine ce l’avevo fatta, perché avevo un obiettivo prefissato. L’unico che volevamo acciuffare: Bang_6969.

Il nome utente di un cliente poteva dire molto sulla sua persona. Nel caso di quelli descrittivi, come DoktorHans75 o HotAnwalt, spesso si trattava di chi erano o di chi avrebbero voluto essere. I numeri indicavano in genere l’anno di nascita oppure quello di laurea. Purtroppo Bang_6969 era troppo generico e poteva avere diversi significati, perciò il mio compito era di portarlo in una chat privata e, se possibile, visto che nel sito non avevamo accesso alla sua carta di credito o all’indirizzo IP per ricavare informazioni, fare in modo che uscisse dal sito di Babes_show e passasse al mio personale, con la speranza di prenotare un appuntamento o almeno che sottoscrivesse un abbonamento mensile come quello degli altri quasi duecento utenti che ogni mese pagavano un piccola cifra per guardare video registrati delle mie diverse sessioni in diretta. Non avrei pagato nemmeno un centesimo per vedere qualcuno, uomo o donna che fosse, spogliarsi online, ma a quanto pareva i fan di Mel_P la pensavano diversamente. Nel frattempo, portare Bang_6969 fuori dalle mura virtuali di protezione che il sito porno offriva sarebbe stato un grandissimo aiuto per la squadra tecnica che avrebbe provato a rintracciare il suo indirizzo IP, la carta di credito o qualsiasi altra informazione potesse rivelarsi utile all’indagine.

Per me era indifferente, tutto quello che contava era inchiodare quel bastardo. E l’avrei fatto, l’avrei appeso a una croce, esattamente come Cristo, e l’avrei lasciato lì a marcire per l’eternità.

Mi lasciai cadere sulla trapunta e restai a guardare il soffitto bianco, ricordando la prima volta in cui mi informarono che lui aveva guardato una mia performance. Avevo festeggiato con la mia piccola squadra, facendo saltelli di gioia, strillando e accantonando un breve momento di depressione quando mi resi conto che non avevo nessuno nella sfera privata con cui condividere la notizia. Ero così entusiasta che, quella sera, non ero stata nemmeno in grado di dormire dall’emozione. Tutto ciò che riuscivo a fare quando chiudevo gli occhi era vederlo appeso a quella croce, anche se non sapevo nemmeno che volto avesse. Non era importante, il male non avrebbe mai dovuto avere sembianze umane.

Tutti gli sforzi stanno per essere ripagati.

Lo potevo sentire dai fremiti di emozione che correvano sulla mia pelle. Erano due giorni che si prenotava per una sessione privata, ma non riuscivo mai a farlo trasferire al mio sito, tantomeno a usare la sua telecamera e lasciarsi guardare. Quella funzione, oltre che permettermi di vederlo, una caratteristica che un voyeurista avrebbe adorato, mi avrebbe concesso di ascoltare il suono della sua voce, anziché ricevere le sue richieste tramite un messaggio digitato. Ogni suo gemito, ogni sussulto, sarebbero arrivati forte e chiari attraverso gli altoparlanti che la squadra aveva disseminato nella stanza. Dopodiché Melissa, con il suo sguardo innocente, sarebbe riuscita a intavolare con lui una conversazione, abbattendo così un’altra barriera tra di noi, magari riuscendo a far cogliere ai miei colleghi un particolare accento o qualche dettaglio del luogo da cui partecipava alla chat.

“…l’avrei appeso a una croce, esattamente come Cristo, e l’avrei lasciato lì a marcire per l’eternità.”

Inoltre, sarebbe potuto essere il primo passo per fissare un appuntamento, in cui avrei inchiodato di persona quel bastardo. Ovviamente il sito era all’oscuro della mia vera missione e tutto doveva rimanere in incognito; per i clienti di Babes_show ero soltanto una studentessa che cercava di guadagnare qualche soldo extra per pagarsi un anno di studio a Cambridge e liberarsi dalla tirannia dei genitori benestanti, ma sempre assenti.

Nonostante tutto l’aiuto che ricevevo, il mio compito non era semplice: dovevo essere perfetta e al contempo diversa dalle altre. Poiché si trattava di un pedofilo, non potevo essere troppo sensuale o aggressiva. Il mio sorriso innocente avrebbe dovuto illuminare lo schermo, lo stesso splendore delle ragazzine di cui trafficava le foto, una bontà pura tipica del viso di una studentessa assolutamente normale. Avrei dovuto essere capace di arrossire davanti alla telecamera, allungando una mano con una delicatezza inaudita per sistemarmi i capelli dietro l’orecchio, mettermi in pose discrete, ma allo stesso tempo provocanti e lui avrebbe dovuto interpretare ogni segnale non verbale come quelli di pura innocenza.

Era in quel frangente che entrava l’implemento dei tecnici della polizia: due telecamere pro ultra HD che offrivano una qualità video con un’eccellente risoluzione, diverse funzionalità avanzate posizionate in due punti diversi della mia “stanza”: il portatile sopra il comò ai piedi del letto e l’iPad che tenevo insieme ai libri. Modelli che non erano il top di linea, del genere che una studentessa alla ricerca di soldi avrebbe potuto permettersi anche da sola, ma che generavano immagini perfette che avrebbero fatto sognare i miei clienti a occhi aperti, facendo cogliere ogni dettaglio ai tecnici. Anche l’impianto audio era di eccellente qualità, in modo che ogni parola, sospiro o gemito che usciva dalle mie labbra arrivasse alle loro orecchie forte e chiaro. E viceversa.

Con l’aggiunta di un ADV – advertising – una pubblicità a pagamento nel sito, il mio nome utente presto diventò familiare, una delle attrazioni più promosse: la ragazza sempre presente negli stessi orari, con un impegno impressionante e continuo in una community dove la maggioranza delle performer andava e veniva. Mi erano bastati alcuni giorni per arrivare tra le ragazze più richieste del sito.

Sono qui per te. Vieni a prendermi, bastardo…

«Agente Stahl, ci sei?»

Sbattei le palpebre in fretta e mi misi a sedere nel momento in cui la porta venne aperta e il viso della collega apparve. «Salve agente Niki.» Non mi ero nemmeno resa conto di essermi assopita.

Spostammo entrambe lo sguardo all’orologio sopra il portatile da cui mi collegavo, mentre mi diceva: «Abbiamo ancora una decina di minuti. Facciamo un briefing veloce?»

«Certo.» Mi alzai con un balzo prima ancora che finisse di parlare.

“…da agnellino a lupo in un batter d’occhio.”

 

***

 

Ore dieci e quindici…

 

Seduta a gambe incrociate sulla trapunta lilla, sorrisi timida alla camera del portatile davanti a me perché lui mi aveva chiesto solo di sciogliere i capelli e togliermi la maglietta, che gettai sul pavimento insieme ai libri che si trovavano sul letto. Era orribile trovarsi sotto lo sguardo famelico di un bastardo simile, dover sostare sottomessa al suo volere, ma ero arrivata fin lì e per nulla al mondo avrei perso la mia opportunità. Se qualcuno mi avesse chiesto se fossi stata capace di fare qualcosa del genere per soldi, avrei risposto con un categorico “no” seguito da un bel dito medio, ma per una ragazzina di sedici anni scomparsa, mi sarei spogliata e avrei simulato un’intera serie di orgasmi addirittura per il diavolo in persona. Forse c’era proprio lui dall’altro lato dello schermo.

I secondi sembravano dilatarsi all’infinito mentre appoggiavo le mani all’indietro sul materasso, come se intendessi mettermi più comoda. Quanto più tempo lo avessi intrattenuto con quel giochetto, più soldi Mel_P avrebbe guadagnato. A ogni modo, ogni centesimo che riuscivo a ricavare da quegli uomini venivano donati alla ricerca di ragazzi e ragazze scomparsi come Neele Vogler e tanti altri.

Finalmente lo schermo del portatile si accese e pochi istanti dopo apparve il suo messaggio.

Bang_6969: Ti va un ageplay?

«Certo…» aggiunsi entusiasta come se non vedessi l’ora di fare un gioco di ruolo con un bastardo pedofilo a cui, ci avrei scommesso il mio stipendio, piacesse agire come se il suo partner fosse poco più di una bambina. Di solito quel genere di interazione veniva fatto tra adulti consenzienti ma, considerate le circostanze, non credevo affatto che fosse il suo caso. 

Bang_6969: Hai qualcos’altro da indossare?

Battei i palmi tutta contenta. «Certo. Che cosa hai in mente? Un travestimento?» Finii la frase con un sussurro e uno sguardo cospiratorio, come se fossimo amici di lunga data.

Bang_6969: Stavo pensando a un’altra maglietta.

Qualcosa di rosa o azzurro, più delicata, magari con qualche fronzolo in tulle.

Non ero nemmeno sicura che esistesse una maglietta del genere per una ragazza, tuttavia per una bambina di sicuro sì. L’adrenalina sembrò fare un ruggito che mi arrivò fino alle orecchie. Sapevo cosa volesse: un look giovane, incontaminato. Non importava la mia età, ciò che voleva era l’innocenza: si aspettava che ridacchiassi, che sussultassi e che gli dicessi che non avevo mai visto un uomo nudo.

 «Aspetta…» mentre dentro ribollivo di odio, gli sorrisi con gioia, saltando giù dal letto con la grazia di un cerbiatto, puntando verso il comò bianco e aprendo il primo cassetto.

Carmen Weiz

Nel passare lanciai uno sguardo allo specchio e feci un occhiolino alle ragazze che sapevo essere dall’altra parte.

I miei angeli custodi…

Tirai fuori una maglietta rosa sbiadita, abbastanza sottile da mostrare i capezzoli, con la stampa di Betty Boop in una delle sue famose pose sul davanti. Anche quella proveniva da un negozio di seconda mano. Mi tolsi in fretta il reggiseno nero e la indossai, scambiando poi i pantaloncini e gli slip con un paio di mutandine di cotone bianco.

Tornai di nuovo sul letto sedendomi con le gambe appena divaricate, in modo che vedesse il triangolino di stoffa candido tra le mie cosce, sorridendo di nuovo all’occhio nero della telecamera.

«Va bene così? Non ho una maglietta con il tulle.» Mi tirai una ciocca di capelli dietro l’orecchio  mentre mordicchiavo il labbro inferiore.

Bang_6969: è perfetta, piccola.

Allora, possiamo fare un gioco di ruolo?

 Mi appoggiai di nuovo con i palmi all’indietro, facendo tirare leggermente la maglietta contro i seni, i respiri appena più veloci. «Certo, Bang. Ma non ho molta esperienza, quindi ti prego di essere paziente con me.» Inclinai la testa di lato mentre abbassavo lo sguardo.

Bang_6969: certo. Allora come vuoi che mi chiami?

Cosa ne pensi di fottuto bastardo pedofilo? «Oh…» finsi di pensare mentre mi sedevo dritta sulla trapunta, «non ne ho idea» mi mordicchiai un’unghia. «Prima tu. Come vorresti che mi chiamassi?»

Appena iniziò a digitare fu come se mi avesse afferrato il cuore, l’avesse stretto per poi strapparlo via dalla cassa toracica, lasciando una scia di orrore e devastazione.

Bang_6969: Neele.

Carmen Weiz

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