4.

La cascata

Serie Swiss Stories – Romanzi rosa con un forte tocco di suspense*

 Cliffhanger

(*) Questo racconto fa parte del libro “La ragazza nel bosco”

Inspirai con il naso in quattro tempi: uno, due, tre, quattro…

Controllai i passi prima di far uscire l’aria con un respiro leggero: uno, due, tre, quattro…

Inspirai ed espirai mentre continuavo a correre, mantenendo il ritmo e le falcate.

Aria dentro i polmoni, aria fuori, passi, inspirazione, espirazione.

“Mi bastava quella ineguagliabile visione e poi a tratti, la fragranza degli aghi di pino, di corteccia e del muschio per ricaricare le energie e iniziare bene la giornata.”

Mantenni la concentrazione lasciando che la cadenza della musica tecno rimbombasse negli auricolari. Con la coda dell’occhio vedevo Betsy, la mia Border Collie, che mi trotterellava accanto contenta.

Quello era da sempre uno dei miei passatempi preferiti. Insieme alla mia compagna di avventure potevo correre per parecchi chilometri, godendomi lo spettacolo del sole che all’alba filtrava tra gli alberi sempreverdi e disperdeva intorno a sé schizzi di varie tonalità dorate. Per un istante ridussi l’andatura e lasciai che lo sguardo vagasse rapito dallo spettacolo che offriva il risveglio della natura, come se si scrollasse di dosso le scure ombre della notte. Mi bastava quella ineguagliabile visione e poi a tratti, la fragranza degli aghi di pino, di corteccia e del muschio per ricaricare le energie e iniziare bene la giornata.

Far parte del corpo di polizia della piccola città dove ero nato e cresciuto era il lavoro che avevo sempre desiderato per me. Quando ero più giovane, abitare in una piccola città persa tra campi e boschi era stato parecchie volte motivo di discussione con i miei genitori: sempre gli stessi amici, le stesse ragazze, le stesse feste. Non si poteva fare niente di sbagliato, poiché in poche ore tutti lo avrebbero saputo. Ciononostante quando diventai adulto, mi resi conto di quanto fossi stato fortunato a vivere in quel paese. Apprezzavo la sua tranquillità, le vaste foreste di pino, le distese di prati, amavo gli stagni con le ninfee dove si poteva nuotare in estate e pattinare in inverno.

Da ragazzo mi arruolai nell’esercito e in seguito nella Swissint, le forze speciali di pace svizzere, che mi portò lontano da casa, in paesi in conflitto come la Bosnia Erzegovina o nelle regioni come il Kashmir, tra India e Pakistan, luoghi nei quali i miei occhi videro un’altra realtà oltre la tranquillità del mio piccolo perfetto paese. Mi fu difficile non restarne spesso atterrito; la maggior parte delle volte, infatti, mi ero sentito triste, ma soprattutto deluso. I ricordi della crudeltà umana sarebbero rimasti per sempre impressi nella memoria, anche se speravo che, con il tempo, quelli più inquietanti sarebbero pian piano sbiaditi.

Quando infine tornai a casa, avevo imparato un’importante lezione: apprezzare la vita e godere appieno i piccoli momenti, scorci di felicità come ad esempio quello che stavo facendo in quel momento: una corsa nel bosco con la mia fedele amica.

Betsy era stato il mio primo cane, la conobbi quando entrai a far parte della Swissint. Dotata di una intelligenza eccezionale, fu addestrata a fiutare residui di bombe, scovare diversi tipi di droghe e denaro nascosto, rivelandosi un inestimabile aiuto per combattere l’aumento del terrorismo in Europa. Così quella “volpe giocherellona” era diventata parte integrante della mia vita negli ultimi anni. Finito il mio incarico nel corpo di pace, Betsy aveva ormai quasi sei anni, l’etĂ  di pensionamento per un cane poliziotto, così chiesi al mio superiore di farla restare con me. PiĂą affiatati che mai, rientrammo nella nostra piccola cittĂ  in Svizzera, dove veniva considerata una superstar e lavorava solo su richiesta.

Quando correvamo insieme non aveva bisogno del guinzaglio, poiché restava sempre al mio fianco mantenendo il passo. Con il corpo e l’attenzione sviluppati negli anni di addestramento e di lavoro, era più allenata di me. Una compagna di jogging davvero incredibile!

Continuammo a correre vicini seguendo il tragitto che costeggiava il fiume e anche se conoscevo quei boschi come il palmo della mia mano, avevo sempre un occhio di riguardo per lei. Prestavo attenzione al nostro percorso per evitare di imboccare un sentiero sbagliato soprattutto in quel periodo dell’anno, dove tutto giaceva sotto diversi strati di foglie cadute. Era veramente facile perdersi da quelle parti.

Eravamo quasi a metà del nostro sentiero abituale, ai piedi del crinale più ripido e, in quel tratto, dovevo prestare ancora più attenzione perché le cime degli alberi impedivano alla luce del sole di filtrare, rendendo il suolo umido e le foglie scivolose.

«Cosa succede? Hai visto qualcosa di strano?»

Mi ricordavo bene che a momenti sarebbe comparsa una zona pianeggiante dove avremmo potuto rallentare il passo e recuperare il fiato, in attesa della parte finale: l’ultimo tratto del percorso in salita che ci avrebbe accompagnato ancora per parecchi metri costeggiando il fianco destro della collina.

«Forza ragazza…» con la coda dell’occhio notai che le orecchie di Betsy si rizzarono sentendo il suono della mia voce, «questo è il nostro ultimo sforzo prima del meritato riposo.» Sarebbero state queste le parole che avrebbe usato il mio istruttore in accademia.

Alla nostra destra, a circa tre metri di dislivello, serpeggiava il Reno che circondava la città ed era caratterizzato da un tratto piuttosto turbolento, visto che era pronto a versarsi nella cascata di Neuhausen, considerata la più estesa d’Europa. Il fascino di quell’ultima non consisteva nella sua altezza, bensì nei suoi quasi centocinquanta metri di larghezza. I suoi speroni di roccia che spuntavano come scogli millenari in mezzo alla massa d’acqua erano sempre lì, pronti a ricordare in ogni momento la forza indomabile di madre natura. Infatti, pochi momenti dopo, cominciai a sentire il rumore dell’acqua che sovrastava quello della musica.

Ero così concentrato nei miei pensieri che quasi non notai che Betsy non si trovava più accanto a me. Come mai si è fermata così all’improvviso?

Carmen Weiz

Diminuendo il passo fino a fermarmi, mi voltai e la vidi alcuni metri indietro mentre fissava un punto in alto sulla collina, le orecchie dritte. Quello era il suo incontestabile segnale di attenzione e seppi subito che non si trattava di uno scoiattolo o di qualche altro abitante del bosco. Era addestrata affinché non li disturbasse o, per meglio dire, per non essere mai distratta da loro.

Mentre tornavo indietro nella sua direzione, abbassai la musica e le chiesi: «Ehi, ragazza, cosa succede?»

Quando la raggiunsi, mi accovacciai accanto a lei e approfittai della pausa per stringere meglio i lacci di una delle scarpe da ginnastica. In quell’istante mi accorsi che la sua attenzione era rivolta sempre allo stesso punto.

Perché si comporta in questa maniera insolita? Con un piccolo guaito che sembrava un ringhio, si abbassò al suolo come se fosse pronta a scattare, mentre alternava la sua attenzione tra me e qualunque cosa avesse adocchiato sulla collina, come se aspettasse soltanto un mio segnale per scattare.

Non avendo capito che cosa avesse visto, mi avvicinai ancora di più al suo fianco e le sussurrai: «Cosa succede? Hai visto qualcosa di strano?» Glielo chiesi con voce giocosa, accarezzandola tra le orecchie, mentre con lo sguardo continuavo a perlustrare la zona.

Quando usavo quel tono di voce, subito capiva che era il momento per lo svago. Così riuscivo ad attirare la sua attenzione, rendendola pronta per iniziare qualsiasi gioco le avessi proposto. Invece nulla, rimase accucciata, guardando fisso nella stessa direzione, come se aspettasse un mio ordine per entrare eventualmente in azione.

I suoi occhi si spostarono veloci verso di me prima di tornare un’altra volta sulla collina. Fu come se uno spiffero di vento gelato mi soffiasse dritto sul collo e non riuscii a capire il motivo di quell’orribile sensazione che scese serpeggiando sulla mia schiena sudata. Uno strano senso di disagio mi attraversò e, a quel punto, ebbe la mia totale attenzione. Ancora inginocchiato al suo fianco, mi tolsi gli auricolari pronto ad alzarmi per controllare meglio l’area. Stavo ancora cercando di capire come procedere quando, all’improvviso, sentii in lontananza voci infuriate, perciò decisi, per sicurezza, di rimanere dov’ero. Per fortuna i cespugli erano abbastanza alti da nasconderci.

Erano due o piĂą voci maschili e non riuscivo a capire cosa stessero dicendo. Se non mi sbagliavo, quell’accento era dell’Est Europa.

“Fa’ che non sia morta, ti prego.” 

L’adrenalina fece scattare la mia attenzione al massimo. Dopo un paio di minuti trascorsi a udire le loro urla, riuscii a individuarli. Si trovavano in alto, proprio a fianco della zona pianeggiante. Uno di loro stava trascinando qualcosa fuori da quella che mi parve fosse una piccola grotta, con la stessa ferocia con cui si sarebbe stanato un animale, mentre l’altro teneva in mano quella che intuii essere un’arma. Sembravano arrabbiati e urlavano così forte che riuscivo a sentirli nonostante il rumore della cascata.

Mentre riflettevo su come agire, Betsy spostava l’attenzione tra di noi, in attesa dei comandi. Presi il telefono dalla custodia che avevo al braccio, per chiamare rinforzi, perché ciò a cui stavo assistendo era di sicuro qualcosa di sospetto.

Avevo appena messo in pausa la musica quando un urlo straziante di donna sovrastò le voci maschili. Cazzo! Sentii il cuore iniziare a battere come un metronomo fuori controllo. Un precursore del panico si insinuò in me, prendendo forza come un uragano in crescente sviluppo. In fretta lo ricacciai laddove non avesse alcuna influenza su di me e mi concentrai invece sul trio sopra la collina. Guardai la scena esterrefatto, la ragazza si dimenava supplicando e dal tono della sua voce riuscivo a percepire la disperazione mentre implorava loro di lasciarla andare.

Quando l’uomo che la tratteneva la mise in piedi con forza, ero intento a orientarmi per cercare di fornire la giusta posizione perché l’unica cosa di cui ero certo era che la situazione stava per peggiorare molto, molto di più. Di sicuro avrei avuto bisogno di rinforzi, la maggior parte delle volte correvo con Adam, mio amico e collega della polizia, ma sfortunatamente non quella mattina.

Avevo appena sbloccato la schermata principale del telefono quando udii il rumore di un brutale schiaffo. Con la coda dell’occhio vidi la testa della ragazza voltarsi di lato con uno scatto talmente rapido che pensai le avesse rotto il collo. L’uomo la scuoteva con ferocia, mentre l’altro non faceva che ridere. Le sue urla mi gelarono il sangue.

“Chiusi gli occhi lottando contro il panico che scalpitava per uscire fuori.”

In quel momento l’istinto prese il sopravvento. Mi alzai dal posto in cui mi ero inginocchiato e mi spostai dietro un albero dove urlai con tutto il fiato che avevo: «Fermi dove siete. Polizia! Lasciate andare l’ostaggio e tenete le mani ben in vista!» Questo è il miglior approccio, prima che il mostro la uccida. Anzi, questo è l’unico approccio possibile in questa situazione disperata.

Non persero tempo. L’uomo armato si voltò verso il punto da cui proveniva la mia voce e sparò. Per fortuna avevo già cambiato posizione dietro a un altro albero, maledicendomi per non avere preso con me la pistola di ordinanza.

Li sentii urlare tra di loro: «Ie të shkojë! Iënë atë!»

Conosco questa lingua… stanno dicendo qualcosa, come andare e fare qualcosa…

Quello che catturò veramente la mia attenzione fu l’uomo che tratteneva la ragazza. Realizzai quanto fossero vicini al bordo della collina e li guardai con il cuore che batteva all’impazzata, travolto da un’ondata surreale di incredulitĂ  per quanto stava accadendo, ma soprattutto temendo per le conseguenze.

Allontanati dal dirupo. No, no, NO!

Come se potesse leggere tra i miei pensieri, in men che non si dica la spinse dalla presa delle sue braccia verso la scarpata, fuggendo poi seguito dal complice.

Un’altra scarica di adrenalina si scontrò con la paura dentro di me. Come in una scena al rallentatore, vidi i suoi capelli fluttuare nel vento, le sue braccia protese in avanti, nel disperato e inutile tentativo di aggrapparsi a qualcosa, mentre la sua figura scompariva nel burrone. Fu come se il cuore si fermasse tra un battito e l’altro. Tra un istante di vita e quello seguente. Proprio sotto di lei, il fiume raggiungeva tutta la sua potenza prima di precipitare nella cascata. Le sue urla accompagnarono la caduta, fino a svanire, inghiottite dal rumore dell’acqua.

Il vigliacco mi lasciò senza scelta. Non c’era tempo nemmeno per riflettere. Con un fischio avevo già Betsy al mio fianco mentre mi precipitavo verso il punto in cui la ragazza era sparita dalla vista, provando a calcolare quanto fosse alto quel tratto di burrone. Desideravo soltanto che il mio falso avvertimento li avesse spaventati abbastanza da non farli tornare indietro.

Correvo veloce tra gli alberi, abbassandomi e cercando un punto dal quale poter scendere nella scarpata. Dovevo trovare in fretta qualcosa a cui aggrapparmi, senza rischiare di rompermi il collo o di cadere in acqua. Dopodiché, mi restava solo sperare che si fosse fermata sugli argini del fiume. Non volevo pensare a cosa sarebbe capitato se fosse precipitata in acqua con quella forte corrente. Nella mia mente apparvero gli spuntoni neri di roccia che si ergevano come rasoi in quella parte del fiume. Il terrore fece vibrare ogni nervo del mio corpo mentre il panico si scatenava come una bufera impetuosa. Betsy scendeva correndo al mio fianco, alternando i suoi sguardi tra me e la scarpata.

Dio, aiutala, per favore.

Dopo metri di corsa disperata in quella discesa, la vidi riversa sul bordo dell’acqua. Era girata su un fianco come una bambola inerme di pezza, i capelli e parte del viso immersi nell’acqua mentre il resto del corpo giaceva sulle pietre e sui bassi cespugli che crescevano all’inizio di quel ripido tratto di collina. Nonostante tutto, aveva avuto un pizzico di fortuna, sarebbe potuta cadere qualche metro più avanti, dove gli argini lasciavano posto a un muretto di pietre appuntite, costruito apposta per contenere la furia dell’acqua.

Mentre guardavo in alto assicurandomi che nessuno mi aspettasse in cima, continuai ad avvicinarmi con cautela e, nel frattempo, facevo il conto dell’altezza da cui era precipitata. Più o meno sei metri. Vedevo lungo la scarpata alcuni alberelli rotti che probabilmente avevano attutito la caduta. Spero proprio di aver ragione.

Purtroppo, non potevo avvicinarmi ancora alla sponda per afferrarla. Era troppo rischioso per me. Sono in un’area esposta, un bersaglio facile, ma non posso lasciarla lì e chiamare rinforzi. Se è ancora viva, morirà di sicuro annegata.

Chiusi gli occhi lottando contro il panico che scalpitava per uscire fuori. Il senso di indignazione, di perdita e di terrore assoluto stava per travolgermi.

Basta! Dovevo accantonare quei sentimenti o mi avrebbero sopraffatto.

Sapevo che dovevo voltarla con molta cautela e iniziare le manovre previste in caso di incidenti gravi. Se per caso avesse avuto una frattura al collo o alla spina dorsale, il mio pronto intervento avrebbe potuto evitare la paralisi o addirittura salvarle la vita.

Pensa Thomas, pensa!

Ogni secondo era cruciale. Dovevo prendere una decisione e dovevo farlo in fretta. La cosa più importante era toglierle il viso dal fiume. Per fortuna il naso era rimasto fuori, ma correva ancora il rischio di aver inalato dell’acqua.

Mi accovacciai, cercando una posizione stabile in mezzo a tutte quelle pietre e le afferrai le caviglie, che si trovavano più vicine a me, cercando comunque di rimanere il più nascosto possibile nell’incavo della collina.

Con cautela, iniziai a trascinarla verso di me.

Mi dispiace, mi dispiace, cazzo… 

Carmen Weiz

Pregai di non farle ancora piĂą male, ma sentivo lo stesso un dolore sordo al petto, come una pugnalata, per ogni pietra sulla quale il suo viso e la testa sbattevano mentre la trascinavo nella mia direzione.

I suoi capelli sciolti in balìa della corrente, crearono un effetto spettrale mentre si mischiavano al sangue delle ferite che si era procurata durante la caduta.

Ormai era solo questione di fortuna. La mia di non essere scoperto, la sua di non avere riportato danni irreparabili e di sopravvivere all’aggressione.

I suoi capelli sciolti in balìa della corrente, crearono un effetto spettrale mentre si mischiavano al sangue delle ferite che si era procurata durante la caduta.

Mentre la tiravo con una lentezza straziante, cercavo di farmi un’idea sulle sue condizioni. Le gambe erano intatte o almeno lo sembrarono dai jeans ancora integri. Il braccio destro invece, da quanto vedevo dal tessuto strappato della felpa, era quello che aveva subìto i danni peggiori. Potevo intravedere parte di un osso fuoriuscire dalla pelle vicino al gomito. Frattura scomposta. Il polso era piegato in modo così innaturale che le dita della mano toccavano l’avambraccio. Sicuramente un’altra frattura importante. Era stata una brutta caduta, ma c’era qualcosa che mi preoccupava piĂą di tutte. PerchĂ© non reagisce? Fa’ che non sia morta, ti prego. 

Quando fu abbastanza vicina mi sporsi e l’afferrai per i fianchi. Era troppo doloroso continuare a trascinarla in quel modo.

Per un istante, ritenni che la paura potesse avere la meglio su di me. Chiusi gli occhi e cercai di contrastarla. Pensai ai miei familiari e alla sofferenza che avrebbero provato tutti loro se mi fosse capitato qualcosa. Mi ricordai le persone che amavo, coloro che avrei lasciato alle spalle. Ero completamente stravolto, sentivo il sudore colarmi sul viso e sulla schiena, le mani tremavano, il cuore mi martellava nelle orecchie. Attimi micidiali che non avrei mai piĂą dimenticato.

Basta, Thomas, basta!

«Fottuti bastardi!» Imprecai a bassa voce sentendo l’odio ribollire dentro di me.

Mi sentivo così sconvolto che iniziai a mormorare, aspettando che almeno potesse sentirmi: «Per favore, dimmi che sei viva. Sono qui per aiutarti. Dammi un segnale se riesci a sentirmi. Ti prego!»

Mentre le parlavo, le presi il polso cercando i battiti, ma non riuscivo a tenere la presa salda, perciò dovetti fermarmi per fare qualche profondo respiro prima di riprovare. Non potevo permettere di aggiungere il mio stress a una situazione già molto critica. Mi ero già trovato in situazioni tese e difficili nell’esercito, ma eravamo sempre in coppia o in gruppo. Trovarmi lì da solo, in quel momento, mi era davvero difficile.

Per favore, non mi abbandonare. Per un momento, che mi sembrò il più lungo della mia vita, il suo corpo non diede segni di vita. Provai ancora a far scorrere le dita sul polso. Sapevo benissimo dove metterle per sentire il battito, ma non volevo darmi per vinto. «Dammi un segnale di vita. Dai, forza, ti supplico!»

All’improvviso sentii il battito, mi parve un miracolo. Era debole e irregolare, ma c’era. Sì! Brava, ragazza. Resta con me, continua così.

Tirai un sospiro di sollievo e usando ciò che avevo imparato negli anni di accademia, mi avvicinai restando sopra di lei e cercando di far scorrere il braccio sotto il collo, bloccando il palmo della mano sul suo mento e posandole delicatamente le dita sulla guancia.

«Sono qui con te adesso. Non ti preoccupare. Andrà tutto bene.» Mantenni la voce soave e usai frasi brevi, le stesse che sapevo dovevano essere usate per confortare e tranquillizzare la vittima, in attesa dei soccorsi. Le persone in situazioni di stress traevano aiuto nel percepire un tono tranquillo, sentire qualcuno parlare le aiutava. Scoprii che, in quel caso, aiutava anche me. La mia stessa voce mi arrivava da lontano, come se appartenesse a un’altra persona e quella sensazione, in qualche modo, mi calmò.

Betsy mi raggiunse sedendosi sulle foglie, la testolina nera e bianca piegata di lato, gli occhioni scuri che si alternavano tra me e la donna, in attesa di ricevere comandi. Aveva già percepito la gravità della situazione. Ero sicuro che cogliesse l’angoscia nella mia voce.

Spostai l’altra mano dietro alla nuca della ragazza in modo da poterle bloccare il collo e, usando il gomito come una leva, appoggiato fra i suoi seni, iniziai a ruotarla con cautela verso di me.

Sperai che non si svegliasse proprio in quel momento, era meglio che restasse incosciente vista la manovra. All’apparenza non aveva nessun’altra frattura, almeno visibile, ma le serviva aiuto il più presto perché il suo battito cardiaco era instabile e lei incosciente. Situazione critica.

Le guardai il volto per la prima volta e notai quanto fosse giovane, doveva avere una ventina d’anni. Chiusi gli occhi e mi presi un altro momento. Respira Thomas, soltanto respira…

Trascorsero soltanto pochi secondi quando li riaprii. Ero sicuro di non averla mai vista prima. Tutta la parte destra del viso era graffiata e stava iniziando a gonfiarsi. La felpa e la maglietta erano strappate e intravedevo le ferite che coprivano la pelle diafana, ma quello che mi preoccupava ancora piĂą dei lividi e del sangue, era il fatto che non rispondesse a nessuno stimolo.

La sostenni con delicatezza sulla gamba, estrassi il telefono dalla tasca del pantaloncino dove l’avevo infilato in fretta prima, e usai la torcia per controllare le pupille, una delle quali non reagiva alla luce. Commozione cerebrale.

Mi tolsi la maglietta e la strappai, ottenendo una striscia che contenesse la frattura. Devo trasportarla almeno fino al parcheggio dove ho lasciato la bicicletta. Da lì, aspetteremo l’arrivo dei soccorsi.

Le sue labbra erano diventate violacee e non avevo niente con cui scaldarla. Mantenendola appoggiata sulla mia gamba, con mani instabili chiamai il numero del mio collega, l’uomo al quale avrei affidato la mia stessa vita.

Al terzo squillo mi rispose con una voce ancora impastata dal sonno.

«Cazzo, Thom boy, ti ho già detto di no, oggi è…»

Prima che potesse continuare la sua imprecazione, lo interruppi: «Adam, ascolta. Adesso!»

La disperazione della mia voce sorprese anche me stesso. La sua voce si fermò e continuai con urgenza: «Una ragazza è stata buttata da un dirupo vicino al sentiero su cui io e Betsy stavamo correndo, all’ultima curva prima della cascata. Ci trovi qui, all’inizio del percorso sud. Hai presente dove di solito lasciamo le biciclette nell’area del castello? Non nel parcheggio per i turisti, l’altro».

Carmen Weiz

«Okay.» Lo udii inspirare bruscamente dal naso, la voce già seria. «Sto arrivando. Serve un’ambulanza?»

«No. La strada che porta al parcheggio dove ho lasciato la bici, prima di iniziare la corsa non è adatta a un mezzo pesante. L’ambulanza potrebbe restare impantanata nel fango.»

Udii dei rumori attraverso il telefono, segno che si stava già alzando. «Vuoi che ti raggiunga per aiutarti a trasportarla?»

«No. Aspettami dove si lasciano le bici. Potremmo smarrirci.»

«Va bene. Serve qualcos’altro?»

«No, grazie. Soltanto vieni, Adam, corri… perchĂ© la situazione è grave e lei è in pericolo di vita!» Il mio cuore si strinse ancora a quell’affermazione. Non voglio perdere questa ragazza tra le mie braccia.

«Arrivo subito.» Fu la sua pronta risposta prima che chiudesse la chiamata.

Senza movimenti bruschi, iniziai a prepararmi per portarla in braccio. Dovevo prima guardare dove avrei messo i piedi. L’area era infangata e piena di pietre. Per prima cosa dovevo riuscire ad afferrarla con sicurezza mentre ero in ginocchio, poi alzarmi piano, provando a mantenere l’equilibrio. Non posso assolutamente cadere.

Betsy era già pronta al mio fianco, mentre portavo un braccio sotto le ginocchia della ragazza e con l’altro le avvolgevo la schiena all’altezza delle ascelle. Dalle sua labbra uscì un lieve lamento, soltanto un soffio dolorante, ma quando la guardai era ancora priva di conoscenza.

Contai fino a tre per compiere il primo movimento. Questo sarĂ  il piĂą difficile. I miei piedi affondarono nel fango, barcollai leggermente di lato, la mancanza di un suolo regolare e stabile rendeva tutto ancora piĂą complicato.

Come farò ad arrampicarmi per le sponde del burrone con lei in braccio? Grazie a Dio è leggera… probabilmente è l’adrenalina che in questo momento scorre, o meglio, vola nel mio corpo.

Non volevo neanche pensare a cosa le fosse successo prima, gli strappi nei suoi vestiti mi sembravano causati solo dalla brutta caduta. Spero che non sia stata stuprata. Porci maledetti!

Il suo polso, anche se debole, c’è. Sapevo che avevo bisogno di incoraggiare me stesso. Quello sarebbe dovuto bastare per il momento. Più tardi, sarebbe stata un’altra storia. Se si fosse ricordata di ciò che aveva passato, se mai fosse stata in grado di farlo… Le ferite emotive non guarivano mai in fretta come quelle fisiche. Sono testimone in prima persona da anni.

Proseguii con la ragazza svenuta tra le braccia, restando il più vicino possibile all’argine del fiume. Anche se lì il terreno era instabile, il burrone e i cespugli ci avrebbero mantenuti nascosti.

Durante il percorso mi ricordai che camminando in quella direzione per circa mezzo chilometro, avrei raggiunto il punto in cui la scarpata diminuiva di parecchio la sua pendenza e da lì avrei potuto salire con più facilità. Speriamo di ricevere un aiuto dal cielo.

Ero davvero sfinito, ma feci un ultimo sforzo per raggiungere il parcheggio dove vidi Adam, che correva nella nostra direzione. Più di una volta ringraziai il cielo, nonché l’eccellente allenamento delle forze dell’ordine.

Il tono di voce di Adam mi raggelò il sangue nelle vene quando ci vide: «Cazzo, Thomas!» La sua espressione era cupa e intensa, e lasciava trasparire tutta una serie di emozioni.

Sapevo che le condizioni della ragazza erano critiche, ma vedere l’espressione angosciata sul viso del mio miglior amico e collega diede un colpo basso alle mie già poche speranze.

Questo racconto fa parte delle emozionanti avventure della serie Swiss Stories. Cinque libri avvincenti ti attendono, ognuno è un viaggio unico nel mondo degli agenti delle forze dell’ordine della Confederazione Svizzera.

Ogni storia è un’esperienza indipendente (autoconclusiva), pronta a catturare il tuo cuore senza bisogno di ordine specifico. 

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