Carmen Weiz

6.

Un nuovo arrivo nel vicinato

 Novità
Storia indipendente:
un piccolo racconto per te (basato su una storia vera ).

Carmen Weiz

“Quell’anno, la primavera si presentò con grazia, arrivando verso l’inizio di aprile… ”

Le prime voci sui cambiamenti che sarebbero avvenuti di lì a poco nel nostro quartiere iniziarono quando l’anziano signore, da tempo una figura rispettata, si spense. I suoi figli, diretti eredi della sua fortuna, presero una decisione che fece discutere tutto il quartiere: trasferire l’affabile signora che da anni abitava nella sontuosa villa di fronte alla nostra in una struttura per anziani.

«È una decisione saggia…» era ciò che ripeteva la maggioranza dei vicini, «considerando l’avanzare dell’età, chi può dire cosa potrebbe accaderle?»

Altri, come la signora Barlof, una figura di risalto che lavorava come capo infermiera presso lo Spitex, il noto servizio di assistenza a domicilio, con  un innato senso di superiorità, sottolineavano: «Non si sa mai cosa potrebbe riservarle la vita, da sola in quella vecchia villa… tutte quelle scale, sai… ormai ha superato gli ottant’anni…»

Carmen Weiz

Quelle preoccupazioni alimentavano le conversazioni quotidiane dell’isolato, creando una sorta di atmosfera sospesa nell’aria.

Quell’anno, la primavera si presentò con grazia, arrivando verso l’inizio di aprile e portando il suo risveglio caratteristico anche nel nostro quartiere. Le giornate si allungavano gradualmente, regalando al paesaggio una luce più calda e invitante. I fiori sbocciavano timidi nei giardini, e l’aria fresca trasportava il profumo delicato dei primi germogli.

Le nostre strade, immerse in una natura rigogliosa, si tingevano di sfumature tenui di verde, mentre gli alberi iniziavano a vestirsi di foglie nuove e luminose. Tra i rami in fiore, gli uccellini si dedicavano alle loro melodie, creando un sottofondo armonioso nella scena primaverile.

Con l’avanzare dell’età, amavo trascorrere il tempo in quelli che erano diventati i miei luoghi preferiti: la sedia a sdraio, posizionata  dalla mia amata compagna di vita  all’ombra del glorioso pesco che iniziava a sprigionare i suoi primi germogli e la sedia a dondolo lasciata perennemente sulla veranda, da cui ascoltavo con interesse tutti i pettegolezzi. In particolare mi soffermavo sui più audaci, nati dai “guardiani del vicinato”, coloro che consideravano un arduo lavoro vagliare ogni ipotesi sugli affari altrui.

«Scommetto che i figli venderanno la villa al miglior offerente. Hai già visto come si comporta il più grande di loro?»

Ruth, la figlia della signora che mi viveva accanto, faceva sempre commenti di quel tipo, a chiunque volesse ascoltarla, con l’aria di chi conosceva bene la situazione, poiché da anni lavorava in banca. «Ho sentito dire che ha perso parecchi soldi a causa del divorzio.»

Ogni volta che si presentava dalla madre per tagliare l’erba o fare le ultime potature agli alberi da frutto, il suo tono sicuro alimentava le ipotesi del vicinato, creando una miscela intrigante di dicerie e supposizioni.

Le persone si scambiavano commenti e congetture sul destino della villa, animando così le strade. Gli anziani, punto di riferimento del quartiere, facevano le loro riflessioni ogni volta che si riunivano dal tabaccaio, al bar della bocciofila, in cui disputavano decine di partite amichevoli, o nel caffè del signor Mario, situato nella via principale della cittadina.

“Le persone si scambiavano commenti e congetture sul destino della villa, animando così le strade.”

Con l’arrivo della primavera, tornarono anche le bancarelle che vendevano i prodotti locali, un invito alla socializzazione all’aperto. Quando scendevo dalla collina in cui abitavo e raggiungevo la città per fare una passeggiata, li osservavo fare acquisti o chiacchierare del tempo seduti tranquillamente sulle panche colorate, installate dal Comune, di fianco alle sponde del lago. Era il momento perfetto per trascorrere qualche ora sotto il tepore del sole, scambiare qualche convenevole o fare una piacevole camminata, mentre il riflesso del sole sull’acqua aggiungeva un tocco magico al paesaggio. Il lago, con la sua quiete, fungeva da confine naturale con le colline tedesche che si intravedevano in lontananza e che completavano un quadro pittoresco con le case a traliccio che incorniciavano la nostra comunità.

A confermare le dicerie di Ruth, un giorno notai un’elegante auto in sosta proprio davanti alla villa. Due uomini scesero e si diressero verso la costruzione esaminando con attenzione l’area esterna, prendendo appunti e misure, scattando fotografie mentre si spostavano con calma lungo tutto il perimetro, studiando attentamente ogni angolo della proprietà. Per un breve istante, pensai di avvicinarmi e intavolare una conversazione, ma qualcosa nel loro modo di fare mi fece desistere; l’aura che li avvolgeva trasmetteva solo professionalità, il tipo di persone che non aveva tempo per una buona e sana chiacchierata.

Gli essere umani non smettevano mai di intrigarmi: chissà cosa si nascondeva dietro quei volti seri e quei gesti misurati?

Gli essere umani non smettevano mai di intrigarmi: chissà cosa si nascondeva dietro quei volti seri e quei gesti misurati? Me li figurai come uccelli dal piumaggio composto e dai colori opachi che nascondevano la loro bellezza dietro un’apparenza sobria.

Ero ancora perso tra le mie congetture quando mi accorsi che se n’erano andati. Per qualche settimana la vita sembrò tornare alla normalità, fino a quando comparvero le prime scavatrici.

L’intero vicinato sembrò andare in ebollizione quando iniziarono a demolire la vecchia casa; tutti desideravano sapere cosa sarebbe sorto al suo posto: un palazzo imponente, un’altra villa elegante o, forse, qualcosa dedicato agli anziani che costituivano quasi la maggioranza di chi viveva tra le viuzze che serpeggiavano sulla collina.

Il signor Otto, col suo sorriso pacifico e i modi cortesi, nonché membro della giunta del Comune, come non si stancava mai di ripetere, si fece avanti e annunciò una riunione che si sarebbe tenuta presso il ristorante del lido, situato proprio sulle sponde del lago. La domenica pomeriggio, data prevista per l’evento, la gente accorse numerosa. Anch’io, incuriosito dal destino della vecchia villa, mi unii agli altri per scoprire qualcosa in più.

«Al posto della casa della famiglia Lambert sorgerà una struttura abitativa multifamiliare.»

Parecchie voci si levarono immediatamente, interrompendo il povero signor Otto che, affranto, cercò di placare gli animi.

«Non… no aspettate…»

Fu arduo, soprattutto per lui, sempre gentile e pacato, cercare di tranquillizzare le persone, poiché tutti parlavano in contemporanea. 

«Chissà quanti rumori emetterà la realizzazione di questo nuovo edificio!»  La prima a lamentarsi fu la signora Werdi, nonostante dicesse spesso di non sentire più bene come una volta.

«Scommetto che il nuovo palazzo diventerà un rifugio per nuove specie di uccelli, magari anche di pipistrelli. Avremo presto una colonia nel tetto di quel grattacielo…» aggiunse tutto contento l’anziano Baumgarten, agguantando la tracolla del suo vecchio binocolo, aggeggio, come lo definivano in tanti, che aveva sempre a portata di mano per osservare la fauna locale.

Carmen Weiz

«Forse, questo enorme cambiamento disturberà l’equilibrio cosmico,» commentò a bassa voce la signora Prudel alla sua vicina di sedia. «Stasera dovrò assolutamente consultare i miei tarocchi!»

Con una certa fatica il signor Otto riuscì a stabilire di nuovo l’ordine, anche se qualcuno si lamentò dell’ombra che la nuova costruzione avrebbe proiettato sulla sua proprietà, benché questa si trovasse a oltre dieci case di distanza, mentre altri già avanzavano ipotesi audaci su un possibile grattacielo in una cittadina che, fino ad allora, non aveva ospitato alcuna struttura che avesse più di quattro piani.

La riunione si protrasse molto più a lungo dell’orario previsto e, mentre mi allontanavo insieme agli altri, mi dispiacque vedere il bravo signor Otto dirigersi verso la sua bicicletta con le spalle ricurve e l’aria sconfitta, mentre le persone parlavano già di organizzare un referendum per fermare i lavori.

Purtroppo, per quanto potessero desiderarlo, nulla avrebbe potuto impedire il futuro, come proclamava a gran voce il signor Roberson, il più all’avanguardia tra gli anziani che risiedeva nella nostra strada da molto prima che io nascessi.

Personalmente, a dirla tutta, non mi sarebbe dispiaciuto vedere un po’ di movimento nel quartiere: i lavoratori che arrivavano sempre puntuali al mattino, alcuni addirittura disposti a spendere qualche minuto per una chiacchierata durante le pause, l’andirivieni degli addetti ai controlli o addirittura dei bambini accorsi per la curiosità del cantiere.

Era già l’inizio dell’estate quando la villa venne demolita, le macerie rimosse e l’abitazione multifamiliare o “palazzo”, come ormai lo chiamavano, vide la posa della prima pietra. Una massiccia gru verde venne montata quasi nel nostro giardino e, contro ogni possibile lamentela, sapevo che sarebbe restata lì per parecchi mesi. La stretta via venne chiusa per far passare la nuova tubatura, generando un’ulteriore ondata di sconforto e lamentele che durò per parecchi giorni. Ciò che mi dispiacque di più fu la rimozione di tutti gli alberi da frutto che la coppia di anziani aveva tanto amato, così come il piccolo orto dove avevo spesso giocato con i miei amichetti quando ero un giovanotto.

“Era l’inizio di dicembre quando il primo camion che trasportava mobili si fermò davanti al palazzo.”

L’estate cedette posto all’autunno, mentre il cantiere continuò  senza sosta i lavori e la nuova costruzione prese forma. Attraverso i vicini, scoprii che cinque famiglie avrebbero abitato nel piccolo condominio e, a quella notizia, la mia curiosità non fece che aumentare. Ogni tanto, soprattutto la domenica, scorgevo nel vialetto delle macchine sconosciute. Le persone, quasi sempre coppie, almeno a mio avviso, si aggiravano commentando a bassa voce quanto fosse bello l’avanzamento dei lavori, scattando anche foto alla costruzione in evoluzione. Sebbene ai miei occhi fosse solo una grossa scatola di cemento, non avendo competenze tecniche, restavo in disparte nel mio giardino a osservarli incuriosito. Considerata la mia natura socievole, a volte, mi presentavo e scambiavo qualche cenno d’intesa o chiacchierata con i nuovi arrivati. Avevo una gran voglia di scoprire se si sarebbero trasferiti da soli o con dei piccoli pargoli, con la speranza che avrebbero portato nuove amicizie e vivacità nel quartiere.

Non potevo di certo lamentarmi perché la collina, immersa nel bosco con pecore e mucche che pascolavano dall’altra parte della strada, era un luogo perfetto in cui vivere. Il suono delle campane degli animali e il mormorio del ruscello che scorreva verso la valle contribuivano a creare un’atmosfera serena. Tuttavia, i vicini restarono sempre gli stessi, in gran parte anziani o con figli già adulti, perciò attendevo con ansia crescente l’arrivo dei primi traslochi.

Purtroppo dovetti aspettare che altre quattro stagioni compissero il loro ciclo prima che la costruzione fosse terminata. Il palazzo di tre piani risultava davvero bello, con un grande giardino che lo circondava e, sebbene alcune persone continuassero a sostenere che le case moderne rovinassero il quartiere, personalmente mi sentivo entusiasta dei cambiamenti.

Dopo tutte quelle visite, avevo già individuato la mia famiglia preferita: una coppia di mezza età che controllava i progressi del cantiere quasi ogni fine settimana. Ciò che mi attirava era la loro diversità rispetto alle altre persone che avevo visto sostare lì davanti. In primo luogo, erano estremamente socievoli, parlavano con chiunque, anche con i vicini che preferivano evitare il dialogo e quello era già un punto a loro favore. Inoltre, mantenevano sempre un sorriso sul volto, irradiando felicità. Non si sbilanciavano mai, nemmeno quando qualcuno si avvicinava per esprimere il proprio dissenso riguardo a quanto stava avvenendo. La coppia rispondeva sempre con gentilezza, anche se era evidente che non comprendevano appieno il dialetto locale. Almeno facevano uno sforzo, e io, divertito, rimanevo in disparte nel mio giardino, osservando come cercavano di interagire con i futuri vicini.

L’inverno arrivò portando con sé giornate sempre più corte, serate da trascorrere davanti al camino con la mia famiglia e l’aroma avvolgente della legna che riempiva l’aria.

Era l’inizio di dicembre quando il primo camion che trasportava mobili si fermò davanti al palazzo. Di notte, fui svegliato dai rumori degli uomini che discutevano e iniziavano a scaricare i mobili. Dalla finestra del soggiorno li osservai mentre facevo colazione, avvolto nella coperta che la nonna mi aveva fatto anni prima, una calda coccola che mi accompagnava in ogni stagione fredda.

Avevo ben presente che ogni nuovo vicino avrebbe fatto tappa da noi, così come dagli altri, per un saluto ufficiale. E così avvenne, quindi, contribuii come potevo a preparare il pane e a riempire il tradizionale barattolino di sale grosso. Quell’usanza locale rappresentava un augurio di buon auspicio e fortuna, in quanto il sale simboleggiava prosperità e stabilità e il pane il benvenuto e il desiderio di abbondanza nella nuova abitazione.

Dai primi vicini che si trasferirono appresi che in primavera sarebbe stata organizzata una festa di inaugurazione del palazzo, un evento che, da bravo vicino, non avevo intenzione di perdere. Dalla seconda e terza famiglia, ricevemmo persino un piccolo regalo come segno di cordialità. La generosità e l’atmosfera di accoglienza resero i giorni invernali ancor più calorosi e pieni di promesse per il nuovo anno.

«Forse i cambiamenti saranno per il meglio…» iniziavano a commentare gli anziani del vicinato, sorseggiando caffè nel bar del quartiere. Un tono di speranza accompagnava le loro voci, mentre discutevano gli eventi che avevano trasformato la tranquilla collina. «Sembrano brave persone, vedremo volti nuovi, ascolteremo nuove storie,» aggiungeva con un sorriso malizioso il signor Roberson, cambiando nei più svariati modi la frase, essendo lui il più temerario tra loro.

Carmen Weiz

Le discussioni si fecero sempre più animate: chiunque entrava nel bar o si sedeva sulle panchine sotto le sue finestrelle a godersi qualche raggio di sole invernale, si trovava coinvolto nelle chiacchiere sul futuro che avrebbe interessato la nostra comunità.

Quella che ormai era diventata la mia famiglia preferita arrivò una decina di giorni dopo con il quarto trasloco. Fu proprio in quell’occasione che conobbi i loro figli: Lorenzo e Matteo, due adolescenti che sembravano abbastanza tranquilli e molto socievoli, proprio come i loro genitori. Entrambi avrebbero frequentato la scuola vicino al lago. Per quanto mi riguardava,  non vedevo l’ora che la bella stagione arrivasse per fargli conoscere alcuni dei miei luoghi preferiti di tutta la città. Li avevo già accompagnati a fare una passeggiata lungo il sentiero appena dietro casa mia ed ero rimasto con loro per un po’, prima di dover rincasare per l’ora di pranzo.

Tuttavia, le due persone che attendevo di più erano i genitori. In effetti, appena il camion dei traslochi se ne andò, ignorando la buona educazione che mi diceva di aspettare, poiché avrebbero avuto parecchio da fare, mi presentai nel loro giardino confinante con il mio. Non volevo sembrare un guardone, ma la donna mi aveva promesso un regalino di benvenuto e, da quando avevo scoperto che erano di origine italiana, non vedevo l’ora di scoprire cosa avessero in serbo per me. Che potevo dire? Ero ghiotto della buona cucina di quel Paese.

Per parecchi minuti, che mi sembrarono un’eternità, restai lì, vicino a una portafinestra, sperando che qualcuno si accorgesse della mia presenza. Ogni tanto facevo qualche passo, uno avanti e uno indietro, perché il freddo era davvero pungente e mi sarei di sicuro congelato se fossi rimasto fermo. In quel momento mi resi conto che la signora era circondata dai suoi piccoli. Mi fermai incantato perché erano davvero carini, mentre festeggiavano felici nella nuova casa. Provai ad attirare la loro attenzione ergendomi al massimo della mia statura e, quando la signora mi scorse, mi regalò un sorriso che fece battere forte il mio cuoricino. Non c’era bisogno di aggiungere altro: aveva già conquistato il posto di mia vicina preferita. Le cose migliorarono ancora quando si avvicinò alla porta con quello che immaginai essere il mio regalino tra le mani.

Mi posizionai ancora più in vista, anche se era evidente che mi aveva già notato, non volevo che ci fossero fraintendimenti tra di noi.

Con delicatezza, si svincolò dai suoi piccoli e si avvicinò a me. «Ciao…» mi salutò appena aprì la porta con un sorriso radioso. «Cosa ci fai qui fuori a quest’ora?» Fece un passo verso di me, chiudendo solo la retina della zanzariera alle sue spalle, prima di mettersi alla mia altezza.

La guardai perplesso, senza aggiungere altro. Era ovvio, da bravo vicino ero lì per salutarli e, se non fosse stato troppo scortese, per ricevere il mio regalino.

«Sai che domani verranno a mettere la rete e non potrai più passare dal giardino, vero?»

Sì, ne ero a conoscenza. Avevo sentito il marito parlare con i vicini riguardo a quella necessità perché avevano alcuni piccoli diversamente abili. Mi spostai leggermente per osservare la sua famiglia  attraverso il vetro; a me sembravano perfettamente normali, forse c’era qualcosa di diverso in loro, ma non ero mai stato un buon osservatore, almeno non per le cose che non mi interessavano. Ero certo che saremmo diventati ottimi vicini, soprattutto se lei mi avesse consegnato ciò che mi aveva promesso.

Fu solo in quel momento che capii che voleva cercare qualcosa dentro a uno degli scatoloni di plastica che gli uomini del trasloco avevano posato sotto una delle finestre.

«Aspetta solo un attimo» mi disse, mentre si spostava di lato tenendo il mio regalo in una mano e alzava il lungo coperchio con l’altra. Educatamente, mi feci da parte e attesi.

Ero quasi più felice di lei quando infine disse contenta. «Trovato! Perdonami,» si voltò e vidi chiaramente quanto fosse dispiaciuta, «ma non ti aspettavo per questa sera. Abbiamo un tale caos, non riesco a trovare nulla, anche se ho numerato le scatole proprio per non far confusione.»

Si voltò verso di me e sussurrò con fare cospiratorio. «Non dire nulla a mio marito o agli altri, ma anche se ho le scatole numerate, non so dove ho messo la lista dei numeri con le cose che sono dentro.»

Appena finì di parlare, chiuse il coperchio e vi posò sopra qualcosa. Incuriosito, mi avvicinai e piegai la testa di lato con quello che volevo fosse il mio miglior sorriso di gratitudine quando mi guardò con tenerezza.

«Lo sai che non ti posso adottare, vero? Anche perché hai già una famiglia che ti ama.»

Non volevo sembrare scortese, ma mentre parlava non riuscivo a distogliere la mia attenzione dalle sue mani che stavano di nuovo trafficando con il mio regalo. Quando aprì la busta, un delizioso profumino invase l’aria, e mi avvicinai appoggiandomi con delicatezza al suo braccio. Quel gesto la fece ridacchiare.

«Lo so, lo so, abbi un po’ di pazienza. Devo trovare qualcosa con cui prendere la tua leccornia.»

Mi sarei dovuto scusare, ma quell’odorino mi fece venire l’acquolina in bocca.

«Ahh, eccolo qua.»

Finalmente, trovò ciò che le serviva e, dopo qualche istante di trepidante attesa, ricevetti il mio regalo. Per qualche secondo sbattei le palpebre incantato, stavo già per avventarmi su quel cibo delizioso, ma all’ultimo mi ricordai le buone maniere che mi avevano insegnato sin da piccolo. In più, volevo davvero impressionarla, diventare il suo migliore amico e quello di tutta la sua famiglia, quindi ogni gesto contava.

Nel momento in cui mi offrì la mia desiderata leccornia, mi misi composto, la guardai negli occhi e usando il mio miglior tono di voce, quello da baritono, le dissi: «Meow…»

Grazie di cuore, signora Carmen, mia nuova amata vicina.

Carmen Weiz

Nota:
Carissimo lettore,

desidero condividere con te un dettaglio particolare di questa storia che è in parte frutto della mia immaginazione, ma che è anche intrisa di tante verità. Ti ho già raccontato di alcuni episodi che risalgono al periodo in cui ho traslocato nella casa dove attualmente vivo con la mia famiglia, inclusa quella formata dai miei quattro gattini: due tripodi avventurosi e due con un solo occhio, i nostri piccoli amati “disabilini”.

Il protagonista di questa storia è una figura reale che ho avuto il privilegio di conoscere durante una delle sue passeggiate domenicali, in una luminosa giornata di primavera. La nostra amicizia è sbocciata immediatamente, e ci siamo incontrati molte volte dopo il trasloco. Avrei voluto adottare questo affettuoso compagno, ma sapevo che aveva già una famiglia che lo amava, come dimostrato dalla cura con cui era trattato.

Mr. Fritz, come l’avevo affettuosamente soprannominato, ha trascorso anni nel vicinato, sempre pronto a ricevere una carezza o un piccolo spuntino. La sua presenza ha arricchito la mia vita quotidiana, regalandomi  allegria e un grande affetto. Concludo questa storia con il cuore colmo di gioia, nel ricordare quei bei momenti, sperando che anche tu possa trovare un’intensa bellezza nelle piccole e meravigliose connessioni che la vita ci riserva.

Torna alla pagina “Racconti”

 

Scopri di più sui libri dell’autrice